Il pallettizzatore è un macchinario che ha cambiato profondamente il mondo del packaging, agevolando, sotto ogni punto di vista, i processi di ottimizzazione delle linee di produzione e di confezionamento: essendo una macchina automatica idonea a impilare casse di merci o prodotti su un pallet, senza ricorrere al logorante e meno efficiente lavoro umano, si è attestato come una condizione fondamentale all’interno delle imprese che intendono imporsi nel proprio mercato di riferimento.
Nel corso degli anni, l’evoluzione tecnologica ha portato a un progresso ulteriore i pallettizzatori, che hanno raggiunto una simbiosi fruttuosa con la robotica: ecco perché oggi, come non mai, stanno rivoluzionando il settore della logistica.
L’evoluzione dei robot nella pallettizzazione
La storia della pallettizzazione inizia sul finire degli anni Quaranta, quando la società Lamson Corp progetta questo macchinario per introdurre un miglioramento dei processi di produzione, senza gravare sull’essere umano.
Dunque, sin dagli albori, il pallettizzatore si lega all’automazione e alla robotica, sviluppandosi progressivamente nel corso dei decenni. Negli anni Settanta compare il primo pallettizzatore in linea, che applicava un divisore di flusso a movimento continuo per condurre la merce da un’area prefissata alla piattaforma di destinazione, mentre dagli anni Ottanta si impongono i pallettizzatori dotati di braccio meccanico, in grado di afferrare casse e prodotti e di posizionarli sul pallet.
Questa tecnologia industriale, già evidentemente implicata con la robotica, si è imposta per anni come quella dominante, seppur presentasse alcuni limiti: l’ingombro (occupano molto spazio) e la capacità di ripetere solo un percorso fisso (svolgono dunque un solo lavoro ben definito, mancando di flessibilità). Così, in tempi più recenti, sono stati creati i cobot o robot collaborativi, che riescono sopperire alle mancanze appena enunciate dei grandi pallettizzatori industriali a braccio meccanico.
Le caratteristiche di questi pallettizzatori
I cobot, più piccoli, più leggeri e più facili da integrare nei magazzini, si presentano come una soluzione flessibile, in grado di svolgere mansioni diversificate nell’ambito dell’intralogistica (formazione di scatole, imballaggio, pallettizzazione). Hanno di solito la forma di bracci robotici di dimensioni contenute, che possono essere inseriti anche in contesti senza barriere (sono infatti molto sicuri), nella stessa area in cui lavorano i dipendenti. Questi giovano ampiamente della presenza dei cobot, perché si tratta di una tecnologia non invasiva, capace di eseguire qualsiasi operazione logistica o di produzione che implichi la manipolazione di carichi eccessivi per i lavoratori: il vantaggio assicurato dai cobot, rispetto ai pallettizzatori industriali, risiede proprio nel riuscire a sostituire l’essere umano nello svolgimento di molteplici procedimenti, e non solo in uno pre-impostato.
Alcune considerazioni
A prescindere dalle differenze tra le due tipologie di pallettizzatori analizzate in questo articolo, ci sono alcuni aspetti vantaggiosi da prendere in considerazione che riguardano entrambe. Infatti, che si impieghi nella propria azienda un pallettizzatore industriale o un cobot, a giovarne saranno comunque i livelli di produttività e sicurezza, perché tutte e due le soluzioni consentono di svincolarsi dal lavoro umano.
La velocità di un pallettizzatore dipende dai prodotti che deve movimentare, ma, in ogni caso, rimane più elevata di quella che le braccia umane, fiaccate dalla fatica, riescono a garantire. Oltre a questo, la pallettizzazione robotizzata permette ai dipendenti di non occuparsi di mansioni pericolose ed eccessivamente pesanti per il fisico, con il risultato di aumentare in maniera considerevole la sicurezza sugli ambienti di lavoro, riducendo la quantità di infortuni. Fondamentale però posizionare questi macchinari in aree di lavoro in cui non costituiscano un pericolo per gli esseri umani.