L’industria dell’imballaggio è sempre più orientata a utilizzare materie prime derivanti da fibre rinnovabili e biodegradabili come le fibre vegetali ad esempio la canna da zucchero, il pomodoro, i fagioli, scarti della produzione dello champagne e della crusca, ecc.
Lo sviluppo dei materiali per l’imballaggio da fibre vegetali e da scarti agricoli è un’opportunità per la competitività nella bioeconomia circolare in cui si recupera tutto, in cui si riducono i costi e gli impatti ambientali di processo, aprendo svariati scenari di applicazione.
Gli imballaggi in fibre vegetali
Gli imballaggi in fibre vegetali sono prodotti a base vegetale che si rivelano anche additivi a doppio uso. Ciò significa che possono essere utilizzati sia negli alimenti sia negli imballaggi. Fondamentalmente, questi stessi prodotti possono essere utilizzati anche nell’industria delle materie plastiche. Tra le caratteristiche che la plastica deve necessariamente avere ci sono le proprietà antistatiche, di conseguenza, gli additivi antistatici sono necessari affinché il prodotto finale in plastica non evidenzi un comportamento elettrostatico nel momento dell’uso o della lavorazione.
Questi additivi rappresentano il fiore all’occhiello della nostra linea di prodotti. Un’altra linea è quella degli additivi anti-appannamento, più orientati al consumatore. Questi prodotti evitano che la confezione alimentare possa appannarsi offrendo diversi vantaggi: innanzitutto, il consumatore può vedere cosa c’è all’interno della confezione; in secondo luogo, si previene la formazione delle goccioline di condensa, un ambiente in cui i batteri possono proliferare. Inoltre, l’assenza di condensa prolunga la durata di conservazione del prodotto all’interno della confezione contribuendo alla riduzione dello spreco alimentare.
Come funzionano
Gli imballaggi ecosostenibili sfruttano gli scarti vegetali, in particolar modo carote e carciofi, per convertire i resti invenduti in contenitori ecosostenibili per frutta e verdura realizzati in plastica al 100% biodegradabile. Per riuscirci, i ricercatori hanno lavorato su nuovi materiali smart, “impostandone” le funzionalità, oppure hanno modificato le proprietà di materiali già esistenti andando a modificare il modo in cui si comportano. L’idea alla base è quella di realizzare packaging con un obiettivo in particolare: utilizzare gli scarti dell’industria agro-alimentare e trasformarli in una materia prima per produrre la plastica, ma fatta di vegetali, da usare all’interno del mercato stesso. Il prodotto finale è una serie di materiali biodegradabili e rinnovabili, ma al tempo stesso idrofobici e termoformabili, adatti a rivestire diversi ruoli sia per il trasporto di frutta più delicata.
Cosa ci aspetta in futuro
Se da un lato ci si trova ad avere un’enorme disponibilità di materia prima (gli scarti appunto) per la realizzazione di packaging ecosostenibili, dall’altro ci si deve confrontare con processi industriali ancora costosi, poco competitivi. Anche se secondo European Bioplastics, associazione europea della filiera delle bioplastiche, la capacità di produzione mondiale delle bioplastiche è destinata a crescere di circa il 50 per cento nel giro di qualche anno, arrivando a 6,1 milioni di tonnellate nel 2021. La plastica, insomma, in futuro potrà essere eliminata anche dall’ambito biomedicale, ad esempio, dove si punta ad ottenere garze e cerotti che possano essere riassorbiti direttamente dalla cute.
L’idea è quella di sviluppare prodotti con caratteristiche tali da facilitare addirittura la guarigione delle ferite e delle lesioni della pelle. Infatti, c’è tantissimo scarto anche nell’ambito del biomedicale e sono anche rifiuti particolarmente difficili da smaltire. Questi materiali intelligenti come la fibra vegetale possono, quindi trovare applicazione in vari ambiti, dal packaging all’ambito biomedicale, fino all’elettronica. Inoltre, tutte le strategie di imballaggio ecologico messe a punto sono facilmente realizzabili e vengono sviluppate in modo tale da poter processare i materiali attraverso le tecnologie ad oggi in uso negli impianti industriali. Non occorre, insomma, effettuare una riconversione degli impianti: si potranno utilizzare gli stessi macchinari.